Femmes Valdôtaines

Le mouvement en ligne

1981

A propos de “Training autogeno respiratorio”

Auprès de l’Hôpital Régional d’Aoste (Service d’Obstétrique) est dispensé depuis 1979, un cours réservé aux femmes enceintes : le « Training autogeno respiratorio ».
Les femmes qui se trouvent au septième mois de grossesse apprennent ainsi une technique de délassement qui leur sera très utile lors de l’accouchement.

Nous avons posé des questions sur ce cours aux opérateurs sanitaires qui l’ont organisé et qui continuent à le gérer avec passion, convaincus de donner à nos femmes un moyen très valide de vivre leur maternité.
Ils ont répondu à nos questions notamment Mme Alba Piacquadio, médecin, et Mme Teresa Guerrieri, accoucheuse.

Q. Che cos’è il « Training autogeno respiratorio ? »

R. Il TAR (detto RAT) è una tecnica terapeutica di distensione, di rilassamento muscolare, viscerale e mentale : si può dire che è l’ultimo ritrovato (anche se ormai sono 10 anni che viene eseguito in Italia ed anche all’estero) in campo di psico-profilassi ostetrica. Si insegnano alle future madri degli esercizi psicologici che producono un rilassamento autogeno (cioè che si genera da sè, senza interventi di altre persone).
Tale terapia autogena dà vantaggi clinici durante la gravidanza, ma soprattutto dimostra la sua più grande efficacia durante il travaglio del parto, travaglio che viene eseguito dalla futura madre preparata, tranquilla, serena, coadiuvante e cosciente.

Q. Qual’è stata la risposta delle future madri a questa iniziativa ?
La frequenza è assidua ?

R. La risposta è stata indubbiamente positiva. Nell’anno 1979 (i corsi sono iniziati presso la Maternità di Aosta nel gennaio ’79) sono state preparate al parto, con questo metodo, 202 donne (nello stesso anno, hanno partorito in Maternità 894 donne). Cioè poco meno di ¼ delle donne che hanno partorito in Maternità (e che ci giungono da ogni parte della Valle) sono state preparate con il RAT. Ogni mese inizia un corso nuovo a cui possono iscriversi le gestanti al 7° mese (il corso dura 2 mesi) : nell’anno 1979 la frequenza delle gestanti iscritte ai corsi è stata quasi totale. I corsi sono gratuiti.

Q. Qual’è la risposta al momento del parto ?

R. In linea generale, al momento del parto, la risposta è positiva : si può affermare che dal modo di partorire, dal modo di comportarsi di una donna durante il travaglio, si capisce se la donna ha seguito o no il corso di RAT e questo perché la donna soffre meno, è tranquilla, è preparata, sa quello che stà succedendo e quindi lo svolgimento del suo travaglio segue il suo corso naturale. Ovviamente esistono delle eccezioni, poiché non si può pretendere di ottenere il 100% dei risultati positivi, però sono molto poche.

Q. Qual’è l’atteggiamento dei padri e qual’è la loro partecipazione ?

R. I padri sono invitati tutti ad assistere alle lezioni teoriche, che si tengono ogni sabato mattina in Maternità e che comprendono argomenti riguardanti la gravidanza, il parto, l’anatomia e la fisiologia dell’apparato genitale femminile ; gli aspetti psicologici della gravidanza e del parto, notizie di igiene e di puericultura ecc.
Purtroppo non sono molti i mariti presenti (una stima approssimativa può far calcolare circa il 20%) però bisogna dire che quelli che partecipano si mostrano molto interessati e compresi nel loro ruolo di futuri padri : bisogna anche tenere presente che la loro frequenza alle lezioni teoriche è condizionante per la loro presenza in sala parto al momento della nascita.

Q. Si riesce ad ammettere al corso tutte le donne che ne fanno richiesta ?

R. Si, finora, pur con qualche sacrificio da parte nostra, non abbiamo mai mandato indietro nessuna gestante.

Q. Iniziative analoghe sono avviate in altre località della Valle ?

R. Nell’ottobre ‘79 abbiamo tenuto un corso didattico riservato alle ostetriche della regione, per insegnare loro il metodo, in modo da poter estendere la preparazione al parto anche nei paesi lontani dal capoluogo. Ci risulta che in alcuni paesi della Valle questa iniziativa ha avuto un seguito.

Q. Quali sono gli ostacoli maggiori da superare per estendere questi corsi alle donne residenti lontano da Aosta ?

R. Per rispondere a questa domanda, bisogna fare una premessa : per poter ottenerre dei risultati ottimi, i corsi devono essere tenuti nell’ambiente in cui la donna andrà poi a partorire e le lezioni sia pratiche che teoriche devono essere svolte da personale specializzato nelle varie materie (p.es. lo psicologo per le lezioni di psicologia, il pediatra per quelle pediatriche, il ginecologo per le ginecologiche, ecc.). I corsi tenuti in Maternità vengono svolti in questa linea. Essendo la Valle d’Aosta una piccola regione, teoricamente il capoluogo dovrebbe essere accessibile a tutti gli abitanti o quasi, in realtà la configurazione geografica della Valle è tale per cui, specialmente nei mesi invernali, 2 viaggi settimanali per una donna nel 3° trimestre di gravidanza possono essere estremamente disagevoli. E’ appunto per cercare di aiutare queste donne, che abbiamo tenuto il corso didattico per le ostetriche e si può presumere, o per lo meno si può sperare, che in un prossimo futuro tali corsi si possano tenere nei vari consultori della regione.

Q. Quali operatori sanitari sono impegnati nel « Training autogeno respiratorio » e qual’è, sinteticamente, il loro ruolo ?

R. Per quanto riguarda le lezioni pratiche (cioè l’insegnamento del RAT) sono impegnate come terapeute la sottoscritta ed alcune ostetriche della Maternità di Aosta. Le lezioni teoriche vengono tenute da sanitari della divisione di ostetricia e ginecologia, di pediatria, del servizio di anestesia e rianimazione, da psicologi ed ostetriche. Tutti questi operatori prestano la loro opera volontariamente.

L’Ostetrica Teresa Guerrieri ci ha detto che condivide pienamente quanto detto nell’intervista alla Dott.ssa Piacquadio e conclude :

« Aggiungerei qualche piccola critica con la speranza che possa essere costruttiva. Anche se possiamo essere soddisfatti di quanto ottenuto finora sia per la partecipazione delle gravide e dei loro mariti, sia per il risultato al momento del parto, ci rendiamo conto che potremmo ulteriormente migliorare rimuovendo alcuni ostacoli ed avendo la collaborazione più fattiva di quanti sono direttamente od indirettamente interessati. Ad esempio sarebbe auspicabile di poter disporre di due sale differenti, una per le lezioni teoriche e l’altra per quelle pratiche.

Alle lezioni teoriche sono invitati anche i futuri padri per cui l’unica sala (attrezzata per le lezioni pratiche) non basta a volte a contenere tutti i partecipanti, che perciò protestano vivacemente.

Inoltre la visione del bel film introduttivo « La nuova nascita » è spesso resa difficile dalle frequenti rotture della pellicola (inizialmente manipolata per poterla proiettare con un apparecchio non adatto).

La risposta delle partorienti al momento del parto è, qualche volta, diminuita dal comportamento del personale di assistenza che le circonda (dall’infermiera, all’ostetrica, al medico). Può capitare che ci si dimentichi o che non si tenga conto che la partoriente ha seguito il metodo RAT per cui non viene facilitato dall’esterno il rilassamento autogeno creando le particolari condizioni che lo favorirebbero : il silenzio, la penombra, l’eseguire le manovre tecniche con particolare delicatezza, tranquilizzando ed informando costantemente la futura madre sul buon andamento del parto.

Oltre a queste considerazioni, sono convinta che con l’istituzione dei corsi di preparazione psicofisica al parto si sia fatto un notevole passo avanti nell’assistenza alle partorienti valdostane e questo è fonte di legittimo orgoglio per le ostetriche della Maternità, che vedono realizzare finalmente un obiettivo per il quale si sono prodigate ed hanno lottato per oltre dieci anni.

Tiré du Peuple n. 5 du 6/02/1981

La boîte aux lettres

J’ai encore sur ma table de travail le n. 46 du « Peuple » et exactement l’article se rapportant aux problèmes de l’alcoolique, publié aux soins de l’Entraide.

Je l’ai lu et relu, et j’ai appris un tas de choses que je ne savais pas. C’était l’heure d’aller au-delà des statistiques et des pourcentages et de donner des conseils et des informations à ce propos.

Un jour, ayant demandé à une personne quoi faire pour Monsieur Jean-Baptiste, je reçus cette réponse : « Il n’a qu’à cesser de boire. L’argent ne lui fait pas défaut. Il pourrait vivre très bien ! ».

Non ! je ne partageais pas cette idée si simpliste, mis je n’aurais jamais pensé qu’il était si difficile pour un alcoolique de sortir de sa condition et de se réhabiliter. Maintenant, je comprends pourquoi il y a tant d’échecs, et combien est délicate et dure la tâche de la famille qui a parmi ses membres une personne devenue esclave de la boisson.
Elle n’aura jamais assez de patience, de compréhension et d’indulgence ; et le malade, jamais assez de volonté pour arriver à quelques résultats pas toujours durables dans le temps ; en plus l’aide entre alcooliques est plus efficace. Voilà le pourquoi de l’ « Associazione alcoolisti anonimi ».

Que cette association soit présente aussi à Aoste, c’est une donnée très positive. Je ne veux que souhaiter bon travail à toutes les personnes de bonne volonté.
Et merci à l’Entraide pour avoir envisagé ce sujet d’une façon si utile.
Je voudrais encore poser une question : « Pourriez-vous, dans les prochains numéros du « Peuple », expliquer la loi régionale pour l’assistance aux personnes âgées ?
J’aimerais par exemple savoir si elle assure aux vieillards le téléphone et les moyens de transport gratuits, comme dans certains pays tels que la France et la Suisse.
Veuillez agréer les meilleures salutations d’une femme valdôtaine qui lit toujours si volontiers vos articles dans le « Peuple ».

Françoise Duclair

L’Entraide des femmes vous remercie vivement de votre gentille lettre et de l’intérêt que vous portez à nos articles, ainsi qu’au problème de l’alcoolisme, qui frappe durement la Vallée d’Aoste.

Nous vous promettons d’aborder prochainement, dans un nouvel article, la loi régionale portant sur l’assistance aux personnes âgées et d’en développer le contenu, pour vous fournir le maximum d’informations – enfin, nous l’espérons !

Nous vous prions d’agréer nos meilleures salutations, et encore : merci de votre fidélité !

L’Entraide des Femmes Valdôtaines

Tiré du Peuple n. 6 du 13/02/1981

Concours de dessin pour les enfants

A l’occasion du Rendez-Vous valdôtain d’Aoste, l’Entraide des Femmes Valdôtaines organise, comme chaque année, le concours de dessins pour les enfants des écoles maternelles, élémentaires et moyennes, sur le thème suivant :

LES FLEURS DE LA VALLEE D’AOSTE

Modalités :
– le sujet doit être réalisé sur des feuilles de 24 cm, sur 30 ;
– on peut présenter un seul dessin pour chaque enfant ;
– il faut indiquer le nom, le prénom, l’âge et la classe derrière la feuille ;
– les dessins doivent parvenir au Siège Central de l’UV avant le 27 mai 1981, dernier délai ;
– une commission spéciale jugera les dessins après les votations des visiteurs de l’exposition, organisée à l’occasion du « Rendez-Vous » ;
– le dimanche 31, à 15h00 aura lieu la remise des prix.

Les enfants qui le désirent pourront participer au petit récital de poèmes, de chants et de musique, qui se déroulera à l’occasion de la remise des prix.

Tiré du Peuple n. 17 du 8/05/1981

Une lettre à l’Entraide des Femmes Valdôtaines

Chères amies de l’ENTRAIDE,

Vous ne me connaissez pas encore, parce que je ne participe pas à vos réunions, mais permettez-moi de vous appeler « amies » parce que je lis tout ce que vous publiez sur votre journal et je me sens très proche à vous toutes. Je suis donc heureuse de voir que les femmes valdôtaines cherchent à se donner un coup de main pour résoudre les nombreux problèmes qui affligent souvent notre existence.

Dans ma famille aussi les difficultés ne manquent pas : notamment, à ce moment, nous sommes tous engagés pour aider un de mes frères qui est un « alcoolique ». Il s’est heureusement rendu compte lui-même qu’il ne pouvait plus continuer ainsi. Mes parents et moi nous avons cherché alors à l’aider sans en avoir trop l’air, en cherchant en somme, avec le plus bon sens possible, de stimuler sa propre volonté.

Pour l’instant, tout a l’air de bien marcher : il a fait des visites médicales, il prend ses médicaments, il ne touche pas d’alcool… Toutefois ce qui m’angoisse encore c’est que peut-être sa volonté ne tiendra pas plus que six mois.

Vous avez déjà parlé autrefois d’un groupe de volontaires, je crois les Alcooliques Anonymes. J’ai même retenu un numéro de téléphone : le 36532 d’Aoste, mais j’ai peur de téléphoner, je ne sais pas qui me répondra, je ne sais pas ce que dira mon frère si je vais parler de ses problèmes avec des inconnus.
Je pourrais déjà me réjouir des résultats qu’il a obtenus tout seul, mais je sens que peut-être tout cela n’est pas suffisant pour « guérir » vraiment.

Je me suis décidée à vous écrire parce que j’ai pensé que peut-être dans d’autres familles aussi on est en train de supporter les mêmes difficultés et les renseignements que vous me donnerez seront peut-être utiles pour d’autres familles malheureuses.
Ne publiez pas, s’il vous plaît, ma signature.

Chère amie,

L’expérience enseigne que pour un alcoolique l’abstinence ne restitue pas le contrôle de la consommation, une fois celui-ci perdu.
Après une abstinence plus ou moins longue, certains alcooliques se sont risqués à reprendre un peu de vin et ont cru pouvoir arroser leurs repas : n’ont pas tardé à se sentir à nouveau obsédés par l’alcool et, malgré leur vigilance, à retomber dans les excès.

Les « Alcooliques Anonymes », pour cela, offrent leur aide pour commencer ensemble une vie nouvelle, mettant en pratique un programme collectif qui trouve sa pleine efficacité par les réunions des groupes.

La collaboration entre eux procure soutien, compréhension et amitié ; des échanges s’opèrent ; expériences, énergies et espoir peuvent se partager : l’isolement, source fréquente d’obsession, se réduit peu à peu.

C’est pour ça que tu fais bien à parler du problème alcoolique de ton frère avec les A.A., qui gardent toujours l’anonymat et ne révèlent jamais l’identité des membres.
Les « nouveaux » sont souvent terrorisés à l’idée de passer pour des alcooliques, mais contrairement à ce qu’ils avaient espéré à l’époque, leur ivrognerie était rarement passée inaperçue : souvent c’était le secret de Polichinelle. Vont-ils, à présent qu’ils ne boivent plus, commencer à se cacher ? Les anciens A.A. se souviennent trop bien de leurs appréhensions du début pour méconnaître les inquiétudes des nouveaux.
L’intéressé peut seul révéler son appartenance aux « Alcooliques Anonymes » ; il peut donc y entrer sans craindre pour sa réputation.

Terminons en te disant avec eux : « Les Alcooliques Anonymes sont une association d’hommes et de femmes qui partagent leurs expériences, leurs énergies et leurs espoirs pour essayer de résoudre leur problème commun, tout en aidant d’autres alcooliques. Leur problème commun, c’est celui de l’alcoolisme. Tous les membres sont et resteront des alcooliques.

Ils ne peuvent survivre qu’au prix d’une abstinence totale. Mais ils ne la cherchent pas seuls, ils s’associent dans leur quête : le partage des expériences constitue la base même de leur programme.

C’est grâce à ce partage qu’ils parviennent à vivre sans boire et, dans la plupart des cas, sans en avoir même envie ».
Chère amie, reçois nos souhaits, les meilleurs, pour ta famille et pour ton frère.

L’Entraide des Femmes Valdôtaines

Tiré du Peuple n. 41 du 13/11/1981

Sur le problème linguistique

Lundi 16 novembre nous avons eu l’occasion d’assister, sur la troisième chaîne de la télévision italienne, à une émission qui touchait un problème longuement débattu au sein de l’Entraide des Femmes Valdôtaines : celui des langues dialectales. Par l’émission en question (Lingua o Dialetto ?), les réalisateurs ont voulu conduire une enquête sur la survivance et l’emploi des dialectes dans les différentes régions qui composent l’Etat italien.

Tâche extrêmement louable, surtout si l’on considère que, de nos jours, il y a une forte prise de conscience à l’égard de la nécessité de sauvegarder ces langues qui constituent une richesse culturelle indéniable. Nous applaudissons donc à cette initiative, car parmi les buts et les actions de l’Entraide il y a aussi celui de conserver notre patois ans nos familles et d’en promouvoir la connaissance dans la communauté valdôtaine.

Bien sûr que pour les femmes de l’Entraide cette conservation et cette promotion ne peuvent pas être séparés d’actions semblables pour notre langue littéraire historique, le français, langue de nos ancêtres que nous devons et nous voulons sauvegarder à tout prix.

Pendant l’enquête nous avons pu écouter des flashes enregistrés lors de la fête du patois qui s’était déroulée au château d’Aymavilles en 1980. Aux interviews des Valdôtains, s’est ensuivie une intervention du Professeur Grassi de l’Université de Turin que nous ne pouvons pas laisser passer sous silence. Ce linguiste, après avoir loué l’effort de sauvegarder la langue dialectale, a en effet affirmé qu’il faut cependant enseigner et apprendre l’italien, « nostra lingua nazionale ».

Or, cette affirmation – et nous déplorons que les réalisateurs de l’émission l’aient acceptée – constitue un faux et un danger : un faux, car historiquement les langues nationales des Valdôtains sont le patois et le français (le walser et l’allemand pour les communautés germanophones des deux Gressoney et d’Issime). La langue italienne n’est qu’une imposition de l’Etat italien depuis cette malheureuse « unité de 1860 ».

Un danger, car poser l’accent sur une langue d’état unifiante risque de détruire la diversité linguistique et la richesse culturelle de cet état même. Mais surtout parce que cette affirmation risque de replonger ceux qui parlent une langue différente dans ce complexe d’infériorité qui les a caractérisés pendant longtemps et qui a failli porter à la disparition des langues « minoritaires ».

L’Entraide proteste donc énergiquement et ne pouvant pas accéder à la télé comme nos adversaires, nous le faisons par le moyen de « Le Peuple Valdôtain ».
A M. Grassi nous disons que la langue littéraire unifiante des Valdôtains est le français et que si la connaissance de l’italien nous ouvre une porte sur la petite Italie, notre langue nous ouvre deux larges fenêtres sur tout le monde francophone. Sans oublier que le français est pour les Valdôtains une nécessité puisque notre droit à l’autonomie se base aussi largement sur notre diversité linguistique.

En outre, en Vallée d’Aoste, on ne peut pas déclarer de vouloir protéger le patois, si l’on ignore la promotion du français. Il s’agit là de deux langues complémentaires et la disparition ou l’oubli de l’une emporterait la disparition et l’oubli de l’autre.
Pour ces raisons, mères Valdôtaines, vous, à travers lesquelles vos enfants apprennent le langage, continuez ou reprenez à leur parler patois et français. L’italien, soyez en sûres, viendra quand même. Vous aurez ainsi contribué à maintenir la richesse culturelle de notre communauté et à travers elle, pourquoi pas, de l’état italien, de l’Europe et du monde, et vous aurez donné une richesse à vos enfants.

Tiré du Peuple n. 43 du 27/11/1981

Notre Santé PREVENZIONE DEL CANCRO DELL’UTERO

Sotto l’egida dell’Assessorato Regionale alla Sanità ed Assistenza Sociale viene svolta una attività di prevenzione del carcinoma della portio uterina.

Questa attività si esplica attraverso centri di prelievo, ubicati a Morgex, Villeneuve, Cogne, Châtillon, Saint-Vincent, Valtournenche, Chambave, Verrès, Donnas, Pont-Saint-Martin. Ad Aosta, i prelievi sono effettuati presso i tre Consultori comunali e l’ambulatorio della Divisione di Ostetricia e Ginecologia.

L’attività diagnostica viene svolta dal Servizio di Anatomia e Istologia Patologica e di Citodiagnostica dell’Ospedale Generale Regionale.

Fino al 30 settembre 1981, 41.177 donne si sono sottoposte a questo esame, che è gratuito, assolutamente innocuo, ripetibile senza difficoltà, eseguibile anche in gravidanza.

Le risposte, redatte su appositi moduli, sono, secondo una convenzione internazionale, classificate in cinque classi : le prime due delle quali comprendono quadri di normali o di semplici alterazioni infiammatorie ; le ultime tre, lesioni più gravi fino alla presenza del tumore.

In questi ultimi casi, si deve procedere ad ulteriori accertamenti. Fra questi, primo per importanza, è l’esame colposcopico (attraverso un ingranditore ottico i particolari del collo dell’utero si vedono quaranta volte più grandi del normale), eventualmente seguito da prelievo di un piccolo frammento per l’esame istologico.

I risultati di questo lavoro sono così sintetizzabili : la frequenza del tumore durante questo periodo è scesa dal 4 all’1,4 per mille donne. E’ possibile diagnosticare la presenza di un tumore quando è ancora così piccolo da esserne sicura la guarigione, purché tutte le donne si sottopongano, anche in assenza di ogni disturbo, a questo esame. Dalla sua prima presentazione, con la compilazione di una scheda personale, la donna viene seguita nel tempo con gli opportuni richiami a ripresentarsi regolarmente per successivi esami di controllo.

Il tumore dell’apparato genitale femminile è guaribile nel cento per cento dei casi, se curato nei primi stadi di sviluppo. Quindi, ogni donna adulta deve sottoporsi « assolutamente » a dei controlli.

Soltanto con la piena collaborazione delle donne, la diagnostica citologica, applicata nel campo specifico dei tumori dell’utero, consente, non soltanto di fare diagnosi di tumore prima che questo divenga inguaribile, ma anche di diagnosticare e curare infezioni, che decorrono quasi sempre senza alcun sintomo, ma che l’esperienza insegna essere, se lasciate a sé, in qualche modo, collegate con la insorgenza di un tumore.

Come è ormai ampiamente dimostrato, quando le donne collaborano consapevolmente, il pap-test è esame che garantisce, nella prevenzione del tumore dell’utero, insieme alla assoluta innocuità, i migliori risultati al costo minore.

Tiré du Peuple n. 45 du 11/12/1981

Etre femme au Salvador

Après le silence, la lutte
« Notre libération passe par la libération du peuple »

Le Salvador, le plus petit Etat d’Amérique centrale, est depuis plusieurs années déchiré par une guerre civile sanglante. Il ne se passe pas une semaine sans que la presse dénonce de nouveaux massacres. Devant cette violence, les femmes Salvadoriennes ne sont pas restées inactives. Après plusieurs décennies de silence, elles se sont réveillées. Aujourd’hui, elles lancent de véritables appels à l’aide et à la solidarité internationale pour que cessent l’oppression et les assassinats sélectifs. Nous avons rencontré l’une d’entre elles. Olga Baires, membre d’une des plus importantes organisations féminines du Salvador. Depuis plusieurs mois, elle sillonne l’Europe afin d’attirer l’attention des populations occidentales sur la situation au Salvador.

« Etre femme au Salvador, c’est avant tout, affirme Olga avec conviction, prendre conscience que notre libération passe par la libération du peuple. En participant à la lutte, la femme sort de son rôle traditionnel ». Car il ne faut pas oublier, précise Olga, que pendant des siècles les Salvadoriennes ont été victimes d’une double exploitation en tant que travailleuses d’une part et en tant que femmes d’autre part. Bien
qu’accomplissant les mêmes tâches que l’homme, elles recevaient le même salaire qu’un enfant. A la maison aussi, soupire Olga, le machisme régnait. Il a fallu le début de la résistance armée, pour que les femmes rompent le silence.

Car elles sont entrées dans la résistance avec détermination. Les femmes ne se sont pas contentées de dénoncer l’oppression. Mais elles participent activement à la lutte contre la dictature en place. Le peuple Salvadorien doit beaucoup aux femmes, relève Olga. C’est à elles que l’on doit l’apparition des syndicats. Ce sont elles qui ont créé les milices populaires. Ce n’est qu’en 1970, après des grèves sauvagement réprimées, rappelle Olga, que le peuple décida de prendre les armes.

FEMMES COMMANDANTES

Aujourd’hui, les femmes sont partout. Elles ont au marché, au champ, au bureau, à la banque, dans les hôpitaux et même dans la guérilla. Il n’est pas rare de rencontrer une femme commandante, déclare Olga. Lors d’occupations d’ambassades ou de ministères, elles étaient là. Pour elles c’était le seul moyen de faire comprendre au monde le désespoir et la misère du peuple salvadorien.

Si les femmes sont partout, elles sont aussi dans les prisons. Leur sort se résume en deux mots : tortures et assassinats. Violées, elles ont souvent subi les pires horreurs. Et que dire des femmes dans les campagnes, dont le mari, le fils, le père ou le frère sont membres de la résistance, et qui ont été éventrées devant leurs enfants. « L’indignation ne suffit plus, il faut agir maintenant », crie avec force Olga.

PROJETS

Pourtant les Salvadoriennes font des projets. Leur premier souci à l’heure actuelle est d’offrir aux enfants une plus grande sécurité. Ainsi AMES, l’organisation féminine où Olga milite, veut fonder une garderie dans une région libérée par l’armée révolutionnaire. Cette aide touchera quelque deux mille enfants qui sont pour la plupart orphelins.
AMES veut aussi installer un centre médical dans une zone de conflits afin de mettre à l’abri des bombardements la population civile. Enfin, l’imprimerie clandestine verra peut-être le jour.
Olga se veut donc optimiste. Elle garde l’espoir. Car un jour, dit-elle, « l’horreur devra bien s’arrêter ».

Anne Dousse
(Tiré de « La Tribune de Lausanne » du 22 novembre 1981)

Tiré du Peuple n. 46 du 18/12/1981